Dott. Ruben Panizzut
Fisioterapista e Kinesiologo
Specialista in Riabilitazione Ortopedica e Sportiva

DOLORE AL GINOCCHIO


Il ginocchio è una delle articolazioni più complesse dell’organismo. Funziona nel rispetto di sofisticate leggi di anatomia e di biomeccanica e ciò lo rende eccezionalmente forte e nello stesso tempo molto delicato: basti pensare al lavoro svolto quotidianamente ed ai disagi derivati da una sua, anche minima, disfunzione.
L’articolazione del ginocchio connette il femore alla tibia, ed è protetta anteriormente dalla rotula che facilita il lavoro muscolare durante i movimenti di flessione ed estensione.
Le superfici ossee sono ricoperte da uno strato di cartilagine che le rende più lisce, facilitandone il reciproco scorrimento.
Anche i menischi sono strutture cartilaginee, hanno forma di anello e servono sia ad aumentare la stabilità, rendendo congrue le superfici di appoggio, sia ad assorbire gli urti e le forze di carico, agendo come dei veri e propri ammortizzatori. L’articolazione è stabilizzata da quattro robusti legamenti: il legamento crociato anteriore (LCA), il legamento crociato posteriore (LCP), il legamento collaterale mediale (LCM) e il legamento collaterale laterale (LCL).
Sono aiutati, in questo compito di stabilizzatori, dalla capsula e dai muscoli.


INFORTUNI PIÙ FREQUENTI

DISTORSIONE DI GINOCCHIO
La distorsione di ginocchio è tra le lesioni più frequenti nella traumatologia dello sport, soprattutto in alcune discipline quali il calcio, la pallacanestro, lo sci e la pallavolo. È di comune riscontro anche nella traumatologia stradale tra gli automobilisti (traumi diretti da cruscotto) o tra i motociclisti (traumi da caduta).
Se hai subito un trauma con rotazione del ginocchio e questo si è gonfiato e ti fa male, in attesa di recarti dal medico, dovrai applicare del ghiaccio e proteggere l’articolazione dal carico usando le stampelle.
La valutazione del medico è di fondamentale importanza, anche se in fase acuta il dolore e le reazioni in difesa rendono difficili le manovre che normalmente si adottano per svelare una lesione legamentosa.
Oltre a sottoporti ad un’accurata prima visita il medico ti potrà prescrivere degli esami strumentali come la risonanza magnetica (RMN) o la TAC.
Tutto ciò è utile per impostare un adeguato percorso riabilitativo.

ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE (LCA)
Sei spaventato e preoccupato perché non sai che cosa ti aspetta?
Il nostro consiglio è di mantenere la calma, considerare che non si tratta di un infortunio grave ma di una situazione che richiede attenzione e cura della propria persona per un po’ di tempo. Inoltre non è necessario decidere immediatamente se operare o non operare, perché l’intervento può essere anche programmato dopo qualche mese senza che ciò crei svantaggi.
La rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è molto frequente specie in chi pratica sport di alto impatto come il calcio, lo sci, il volley e il basket.
I sintomi possono variare in modo significativo da paziente a paziente; il quadro tipico prevede un dolore intenso, gonfiore molto marcato che insorge rapidamente e sensazione di cedimento con importante limitazione funzionale.
La diagnosi si basa sul racconto del paziente e sull’esame clinico che si avvale di opportuni test per valutare la stabilità passiva del ginocchio. Il più delle volte si richiede una risonanza magnetica (RMN) per valutare anche eventuali lesioni associate a carico dei menischi, dei legamenti collaterali e della cartilagine.
L’iter decisionale riguardo il percorso da seguire (conservativo o chirurgico) è complesso e deve tener conto di numerosi elementi: età del paziente, grado di instabilità, presenza o meno di lesioni associate e livello di attività sportiva. In tutti i casi è importante seguire un appropriato ciclo di riabilitazione.

ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE (LCP)
La lesione del legamento crociato posteriore (LCP), molto più rara di quella del legamento crociato anteriore (LCA), avviene mediante un trauma sulla gamba tale da spingerla all’indietro superando la resistenza meccanica di questo legamento.
Si verifica tipicamente in caso di impatto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto durante un incidente stradale (trauma da cruscotto) e anche in molti sport di contatto.
La sintomatologia immediata ci fornisce segni piuttosto subdoli, rendendo la diagnosi precoce un evento abbastanza raro. Il paziente avverte una sensazione di instabilità e di dolore posteriore, che persistono anche dopo la fase acuta.
L’esecuzione di indagini più approfondite, come la TAC o la risonanza magnetica (RMN) aiutano a dirimere il dubbio diagnostico, rivelando anche l’eventuale presenza di lesioni meniscali o di altre strutture.
Il trattamento conservativo rappresenta la prima soluzione. Nelle fasi iniziali il trattamento sarà simile a quello delle più comuni distorsioni del ginocchio ed in seguito si dovranno studiare delle strategie mirate a risolvere questo preciso problema.
Il trattamento chirurgico è riservato solo ai casi che lamentano instabilità dopo il trattamento conservativo.

ROTTURA DEI LEGAMENTI COLLATERALI (LCM.LCL)
La loro rottura si verifica solitamente quando la gamba viene sollecitata verso l’interno o verso l’esterno.
È particolarmente frequente perché questi movimenti anomali si verificano in molte attività sportive.
La lesione a carico dei legamenti collaterali è tanto più grave quanto più intenso è stato il meccanismo traumatico: un trauma lieve provocherà una lesione di 1° grado, in cui solo una parte delle fibre viene danneggiata ed il ginocchio è dolente ma non instabile; il trauma moderato dà una lesione di 2° grado ed un quadro clinico un po’ più severo, caratterizzato da lieve instabilità e molto dolore.
Un trauma intenso provoca una lesione di 3° grado ed interrompe completamente il legamento provocando gonfiore, dolore e soprattutto un quadro di instabilità importante.
L’esame obiettivo può essere sufficiente per una diagnosi corretta anche se talvolta è indicata l’esecuzione di un’ecografia per valutare il decorso del legamento o di una RMN per valutare le eventuali lesioni associate.
L’iter decisionale dipenderà dal grado della lesione e comunque inizialmente è fondamentale l’utilizzo di una ginocchiera e di stampelle.
Tutto ciò perché i legamenti collaterali vanno incontro spontaneamente, contrariamente ai legamenti crociati, ad un processo di cicatrizzazione favorito in un primo periodo dall’immobilizzazione.
La rigidità dell’articolazione va comunque prevenuta rimuovendo il tutore appena possibile ed iniziando precocemente il lavoro in piscina con l’acqua alta.
Nel programma riabilitativo verranno inoltre inseriti esercizi specifici per evitare stress al legamento danneggiato e favorire l’orientamento corretto della cicatrizzazione ed il recupero completo della funzione del ginocchio.
In rari casi lo specialista ortopedico consiglierà di riparare chirurgicamente il legamento danneggiato.

LESIONI MENISCALI
La lesione dei menischi può verificarsi durante i movimenti combinati di flessione e rotazione tipici delle distorsioni traumatiche.
Una lesione può verificarsi però anche in seguito ad un banale movimento o spontaneamente nelle persone più anziane per degenerazione della cartilagine e perdita di elasticità.
La sintomatologia può variare da una fitta intensa e localizzata all’interlinea articolare ad un male sordo e poco definito che si riacutizza in certi movimenti.
Lesioni meniscali importanti possono generare un vero e proprio blocco articolare che il più delle volte tende a risolversi con opportune manovre di basculamento in flesso-estensione.
Durante la visita medica specialistica verranno valutati parametri quali la sede esatta del dolore, il gonfiore, l’ampiezza del movimento e la presenza di eventuali lassità.
Gli esami che permettono di confermare il sospetto diagnostico sono la risonanza magnetica (RMN) o la TAC grazie alla loro capacità di studiare sia le componenti scheletriche che le parti molli.
La diagnosi accurata è fondamentale per impostare un programma terapeutico adeguato che dovrà essere differenziato, sia in base al tipo di lesione che alle tue esigenze specifiche.

LESIONI CARTILAGINEE
L’insorgenza di problemi cartilaginei è frequente per un meccanismo di usura determinato dalla ripetizione di certi movimenti, o in seguito a traumi veri e propri.
Un’erosione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.
Se ti è stato riscontrato un danno cartilagineo serio in un’articolazione come il ginocchio, preparati ad una battaglia abbastanza dura poiché il prezzo da pagare in termini di tempo, disagio e impegno, è piuttosto alto per te, ma anche per il medico e per l’equipe riabilitativa che ti seguiranno.
Dopo un accurato esame clinico, il medico ti prescriverà una risonanza magnetica (RMN) in grado di evidenziare e quantificare l’area della lesione.
Si riconoscono 4 stadi di condropatia a gravità crescente che differenziano anche l’atteggiamento terapeutico da adottare, conservativo per le lesioni più lievi e chirurgico per i casi più severi.
Lo scopo è comunque interrompere il circolo vizioso che, mediante l’aumento progressivo dell’attrito, porta alla degenerazione articolare.
Il programma riabilitativo verrà personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione, con l’obiettivo di ridurre il dolore e ripristinare il tono-trofismo di particolari gruppi muscolari che svolgono un importante ruolo protettivo.

LUSSAZIONE ROTULEA
La lussazione rotulea è un’evenienza abbastanza frequente (soprattutto quella esterna).
In alcuni casi è legata ad una predisposizione congenita di malallineamento per cui spesso si presentano episodi recidivanti; in altri casi è un fenomeno acuto legato all’entità dello stress traumatico.
Spesso riferirai un trauma distorsivo accompagnato dalla sensazione di qualcosa fuori posto e contemporaneo cedimento del ginocchio.
Generalmente la lussazione si riduce spontaneamente.
La sintomatologia è caratterizzata da dolore, gonfiore, deficit di articolarità e zoppia.
Per la conferma diagnostica potrà essere utile effettuare una radiografia.
Il trattamento conservativo richiede l’utilizzo di una ginocchiera e di un ciclo di riabilitazione.
La rieducazione si avvale soprattutto di tecniche di rinforzo muscolare specifico dei muscoli della coscia.
Un adeguato tono muscolare è infatti fondamentale per stabilizzare la rotula e per evitare le recidive che sono molto frequenti.

FRATTURA ROTULEA
Nella maggior parte dei casi le fratture di rotula sono trasverse.
L’infortunio è spesso causato da trauma diretto.
La sintomatologia è caratterizza da insorgenza rapida di gonfiore, dolore e limitazioni articolari.
Per la conferma diagnostica è poi fondamentale eseguire una radiografia standard.
Il trattamento conservativo prevede immobilizzazione con tutore per 4-6 settimane (dopo 2–3 settimane può essere rimosso per esercizi di mobilizzazione).
In seguito dovrai seguire una progressiva rieducazione funzionale.

FRATTURA PIATTO TIBIALE
La gravità può essere variabile, da minime depressioni del piatto tibiale o piccoli distacchi che non
richiedono trattamenti chirurgici, a quadri complessi con dislocazione dei frammenti e necessità di osteosintesi chirurgiche.
Spesso riferirai un grave trauma (incidente automobilistico, sci) che ha comportato subito un notevole gonfiore al ginocchio.
Il quadro clinico è sovrapponibile a quello di una lesione di LCA ma solitamente non c’è instabilità.
Il quadro clinico è solitamente caratterizzato da dolore, gonfiore e limitazioni dell’articolarità.
La prima radiografia potrebbe essere anche negativa per cui con sospetto clinico ti verrà richiesta una TAC o RMN.
Se non c’è necessità di soluzione chirurgica, si dovrà rispettare un periodo più o meno lungo di immobilizzazione con tutore ad arto esteso (da quattro a sei settimane) seguito da una rieducazione di almeno due mesi.

ROTTURA DEL TENDINE ROTULEO E DEL QUADRICIPITE
Si tratta di una grave evenienza acuta che si presenta più spesso in soggetti giovani e sportivi con tendinosi degenerative e in soggetti anziani che affrontano sforzi improvvisi senza avere una adeguata preparazione.
Le rotture possono essere parziali o totali.
Al momento dell’infortunio potresti sentire uno schiocco al ginocchio con la sensazione di qualcosa che andava fuori posto. Solitamente al dolore si associano gonfiore e difficoltà ad estendere il ginocchio.
L’ecografia è solitamente sufficiente per una conferma diagnostica; la risonanza magnetica (RMN) può dare indicazioni più dettagliate in caso di lesione parziale.
In caso di lesione parziale il trattamento può essere conservativo, prima con immobilizzazione e deambulazione con stampelle per quattro settimane, poi con progressivi esercizi di rinforzo muscolare. Per ottenere risultati si devono attendere almeno quattro mesi perché il processo di guarigione, cicatrizzazione e riorganizzazione del tessuto tendineo è lungo.
In caso di lesione totale la soluzione da preferire è chirurgica.


PATOLOGIE CRONICHE

ARTROSI DI GINOCCHIO
L’artrosi è un processo molto frequente, prevalentemente degenerativo, caratterizzato dall’usura e dall’invecchiamento, ma si può manifestare anticipatamente se originata da lesioni traumatiche non trattate correttamente in età giovanile.
Contemporaneamente ai fenomeni degenerativi si realizzano dei tentativi di riparazione che riducono il dolore ma, accentuando la formazione di ossificazioni periarticolari, provocano limitazioni del movimento che possono essere molto invalidanti.
Può insorgere su articolazioni sane o essere l’inevitabile conseguenza di alterazioni della meccanica articolare, esiti di malformazioni o traumi.
È più frequente nelle donne, e nei pazienti in sovrappeso.
Esistono poi attività lavorative che dimostrano quanto la ripetizione di alcuni gesti, una postura viziata, il sovraccarico funzionale possano, a lungo andare, produrre danni articolari irreversibili
I sintomi sono in genere chiari ed inequivocabili: dolore, gonfiore, deambulazione con zoppia, sensazione di impaccio dell’articolazione e rumori articolari detti scrosci.
La diagnosi è clinica e radiografica.
Le radiografie evidenziano le alterazioni del profilo scheletrico ormai molto accentuate, mentre TAC e RMN rilevano le precoci irregolarità delle cartilagini.
Un trattamento riabilitativo ben condotto può migliorare la qualità della vita, mirando alla riduzione del dolore, al recupero della funzionalità articolare, alla ripresa di una vita attiva, ed al rallentamento dell’evoluzione della malattia.
Riteniamo un momento fondamentale della terapia l’informazione del paziente riguardo alcune norme elementari di prevenzione: calo ponderale, riduzione di lavori fisici eccessivi e sollecitazione di attività fisiche e sportive più congrue, assunzione di posture corrette notturne e diurne.

TENDINOPATIA ROTULEA O JUMPPER’S KNEE
È una patologia molto frequente nella popolazione sportiva e colpisce maggiormente gli atleti che esprimono forza esplosiva (pallavolo, basket e atletica leggera).
Può essere la conseguenza di un evento acuto scatenato da un sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti.
Clinicamente si rileva dolore al polo inferiore della rotula e tumefazione dolente alla digito-pressione. Il dolore insorge gradualmente, si riduce con il riscaldamento ma progressivamente limita la prestazione.
Distinguiamo 4 stadi clinici:
Stadio I: il dolore compare dopo l’allenamento, l’attività non è limitata.
Stadio II: il dolore è presente all’inizio, scompare con il riscaldamento e ricompare a freddo.
Stadio III: il dolore permane per tutta la durata della prestazione.
Stadio IV: rottura del tendine.
La diagnosi è clinica e supportata da esami strumentali quali un’ecografia muscolo-tendinea per avere un’idea del grado di tendinosi ed una RMN per le forme più gravi.
Il trattamento, inizialmente conservativo, è sempre molto delicato e le possibilità di successo dipendono dalla gravità del quadro patologico e dal tempo di insorgenza della sintomatologia.

MALATTIA DI OSGOOD-SCHLATTER O APOFISITE TIBIALE ANTERIORE
È più frequente negli atleti adolescenti maschi (10-13 anni) che spesso sono cresciuti rapidamente.
È attribuibile ad un sovraccarico abnorme sulla cartilagine in accrescimento che causa delle microfratture del nucleo osseo apofisario.
Il quadro clinico è caratterizzato da dolore localizzato sulla tuberosità anteriore della tibia che viene esacerbato dall’attività fisica e recede con il riposo; localmente è presente una tumefazione dolente alla digitopressione.
La diagnosi è clinica e supportata da esami strumentali quali una radiografia per valutare eventuali calcificazioni o problemi inserzionali.
Il trattamento è il riposo.
Nei periodi di riacutizzazione del male i ragazzi devono interrompere l’attività fisica.
Il quadro tende a risolversi con la fine dell’accrescimento.

SINDROME FEMORO-ROTULEA
È costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di dolore anteriore di ginocchio.
La rotula scorre all’interno di una gola ad essa congruente, scavata nella parte distale del femore; le superfici ossee scivolano l’una sull’altra grazie al reciproco rivestimento cartilagineo e sono guidate dalla tensione di alcuni gruppi muscolari, del tendine rotuleo e dei legamenti alari.
Basta un minimo disturbo, un’alterazione di forma o di funzione di una di queste componenti, perché insorga un aumento della pressione su una parte dell’articolazione femoro-rotulea con conseguente insorgenza di dolore o, peggio ancora, di instabilità fino alla vera e propria fuoriuscita della rotula dalla sua sede durante i dolorosissimi episodi di lussazione.
La diagnosi si avvale del supporto di radiografie, TAC o risonanza.
Si è visto che la maggior parte dei casi trae beneficio da un personalizzato programma riabilitativo, mentre la soluzione chirurgica viene riservata ai casi più gravi.
La riabilitazione inizia in palestra, ma continua nella vita di tutti i giorni che è quando dovrai mettere in atto i piccoli accorgimenti per il mantenimento di una funzionalità completa.
L’unica vera indicazione al trattamento chirurgico è costituita dalle instabilità rotulee maggiori, caratterizzate dalla lussazione abituale della rotula o dalla sua stabile malposizione.

SINDROME DELLA BANDELLA ILEO-TIBIALE
Sotto questo termine rientra un quadro infiammatorio cronico che interessa l’ultimo tratto della fascia lata (bendelletta o tratto ileotibiale) dove può verificarsi un attrito meccanico che genera uno stato infiammatorio doloroso che si acutizza nei movimenti di flesso-estensione del ginocchio.
Particolarmente diffusa tra i calciatori, i podisti e i ciclisti, può insorgere per un sovraccarico o per allenamenti su terreni duri e irregolari.
Alcuni fattori anatomici possono favorire l’insorgere della patologia, varismo di ginocchio ed ipoestensibilità della catena muscolare posteriore.
Il sintomo principale è il dolore laterale di ginocchio.
A volte è presente anche un gonfiore a livello dell’inserzione della bendelletta.
La pratica sportiva è spesso resa impossibile dal male e dalla sensazione di rigidità che ad essa si accompagna.
La diagnosi è sostanzialmente clinica.
L’ecografia può aiutare a confermare la diagnosi e rendere conto del grado di infiammazione.
La risonanza magnetica (RMN) può essere utile nella diagnosi differenziale con una meniscopatia esterna.
Il trattamento iniziale è sempre conservativo e consiste in un mix di terapie fisiche e manuali.
In fase acuta è necessario ridurre, variare o sospendere l’attività sportiva a seconda della gravità della situazione.
In casi selezionati, resistenti al trattamento conservativo, può essere presa in considerazione la soluzione chirurgica.


INTERVENTI CHIRURGICI

RICOSTRUZIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE (LCA)
Le tecniche chirurgiche utilizzate più frequentemente sono sostanzialmente 3:
Ricostruzione con tendini del semitendinoso (ST) e gracile (GR): La ricostruzione con ST e GR è ormai la più diffusa, prevede l’utilizzo dei tendini di due muscoli flessori mediali di coscia che vengono poi fatti passare attraverso un tunnel osseo in articolazione. L’intervento è effettuato in artroscopia. Nella fase riabilitativa bisognerà rispettare i tempi di guarigione dei muscoli flessori della coscia da cui è stato effettuato il prelievo.
Ricostruzione con tendine rotuleo: La ricostruzione con tendine rotuleo prevede l’espianto del terzo centrale del tendine rotuleo attraverso una cicatrice mediana di circa 5 cm e poi il suo inserimento in articolazione attraverso un tunnel osseo sotto guida artroscopica. Questo tipo di intervento tende ad indebolire l’apparato estensore del ginocchio e pertanto carichi eccessivi in riabilitazione possono causare fastidiose tendinopatie a carico del tendine rotuleo e del tendine quadricipitale ritardando i tempi di recupero.
Ricostruzione con allograft (tendine da donatore): La ricostruzione con allograft (tendine da donatore) è un innesto ottenuto da un tendine d’Achille o rotuleo da donatore.
L’intervento ha il vantaggio di non prevedere il prelievo di tendini del paziente, evitando così di indebolire i flessori di coscia o il quadricipite come nei precedenti due interventi.
A seconda delle equipe ortopediche viene consigliato o meno un tutore nel post-operatorio. Quasi sempre l’uso di stampelle viene protratto per circa 3 settimane.
La riabilitazione inizia già in seconda giornata in ospedale o a domicilio, mentre arriverai da noi mediamente in decima giornata per proseguire l’iter riabilitativo che ti porterà al recupero completo secondo i modi e i tempi previsti.
La rieducazione si protrae mediamente per cinque mesi, alternando palestra, piscina e, quando arriva il momento, campo sportivo.

RICOSTRUZIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE (LCP)
Il Legamento Crociato Posteriore (LCP) viene raramente operato in lesioni isolate.
Più frequentemente viene operato perché si ha una lesione di entrambi i crociati o un’associata instabilità esterna.
Spesso l’innesto è ottenuto prelevando i tendini di semitendinoso e gracile.
Dopo l’intervento si utilizza un tutore che limita la flessione del ginocchio.
Le regole base nella riabilitazione post-intervento sono procedere con cautela nel recupero della flessione attiva, evitare contrazioni isolate dei flessori per i primi tre mesi e aspettare almeno un mese prima di concedere la deambulazione libera.
È invece utile da subito potenziare il quadricipite perché è un muscolo agonista del LCP prima con elettrostimolazioni poi con esercizi attivi.
La rieducazione si protrae mediamente per cinque mesi, alternando palestra, piscina e, quando arriva il momento, campo sportivo.

SUTURA DEI LEGAMENTI COLLATERALI
Nella maggior parte dei casi le lesioni dei legamenti collaterali sono associate ad altre lesioni del ginocchio (legamenti crociati e menischi); più rara è la lesione isolata del collaterale che necessita di un trattamento chirurgico.
Di solito un periodo di immobilizzazione adeguato seguito da una rieducazione mirata permette la ripresa dell’attività sportiva; in caso di insuccesso riabilitativo o in seguito al persistere della sintomatologia vi può essere indicazione al trattamento chirurgico.
Il trattamento chirurgico consiste fondamentalmente nella sutura del legamento con fili non riassorbibili o sutura del legamento con fili non riassorbibili e tensionamento con cambra.
Nell’immediato periodo post-operatorio il ginocchio viene tenuto immobilizzato in una ginocchiera bloccata a 20° di flessione per 3 settimane e proscrizione del carico per 3 settimane.
Potrai rivolgerti a noi dopo circa 15 giorni dall’intervento per la rimozione dei punti di sutura.
Il trattamento riabilitativo sarà svolto inizialmente solo in palestra.
Una volta rimosso il tutore si inizierà un carico parziale e progressivo e verrà collaudata l’attività in piscina.
A circa 4 mesi dall’intervento avviene la dimissione e la ripresa dell’attività sportiva.
Infine ti potrà essere consigliata la rimozione della cambra.

CHIRURGIA DEI MENISCHI
Ti verrà proposta per una lesione particolarmente grave o solo dopo il fallimento del trattamento conservativo. Viene condotta per via artroscopica e consiste fondamentalmente nei seguenti tipi di intervento: meniscectomia selettiva, sutura meniscale, impianto di scaffold meniscale, impianto di menisco da donatore (allograft).
Meniscectomia selettiva: questo tipo di intervento consiste nell’asportazione del frammento danneggiato e prevede un ricovero brevissimo. I tempi di recupero sono però diversi a seconda che si tratti di una meniscectomia mediale o laterale. Quest’ultima infatti richiede più cautela nella riabilitazione post intervento e ritorno allo sport in tempi più lunghi.
Sutura meniscale: se le dimensioni e la sede della lesione lo consentono il chirurgo eseguirà una riparazione del menisco mediante una sutura. Il trattamento riabilitativo sarà decisamente più lungo rispetto ad un semplice intervento di meniscectomia mediale.
Impianto di scaffold meniscale: è una tecnica chirurgica che è stata preceduta da una lunga fase sperimentale. Attualmente è sempre più diffusa e dai risultati molto promettenti. Consiste nell’introduzione per via artroscopica di una protesi meniscale sintetica in grado di favorire una rigenerazione di tessuto meniscale nuovo ritardando così l’insorgenza dell’artrosi.
Impianto di menisco da donatore (allograft): la tecnica chirurgica prevede l’impianto di un menisco ottenuto da un donatore che viene suturato all’interno del ginocchio del ricevente.
Come nel caso dello scaffold meniscale i tempi di integrazione biologica impongono una certa cautela e tempi di recupero molto più lunghi rispetto alla semplice meniscectomia.
Ogni intervento chirurgico dovrà necessariamente essere seguito da un serio e spesso prolungato ciclo riabilitativo.

CHIRURGIA DELLA CARTILAGINE
Le tecniche chirurgiche adottate sono numerose: alcune puntano a stimolare la capacità di riparazione del tessuto cartilagineo residuo attraverso la produzione di fibrocartilagine, mentre altre hanno come obiettivo la rigenerazione ex novo dell’area cartilaginea lesionata sostituendola con nuova cartilagine ialina. Ovviamente quest’ultima opzione è riservata a quelle lesioni più gravi che richiedono un intervento più radicale.
Condroabrasioni o shaving cartilagineo: è un intervento che regolarizza semplicemente la superficie della cartilagine lesionata. Nei primi gradi di lesione la cartilagine si sfrangia e forma delle fibrille che vengono asportate con uno strumento specifico nel tentativo di rimuovere i lembi e i margini liberi che entrano in conflitto meccanico con l’articolazione. I risultati a lungo termine sono scarsi. Non è un intervento di per sè risolutivo perché non ha capacità riparative nè rigenerative.
Microfratture: questa tecnica mira a creare numerose perforazioni a livello subcondrale. Lo strato di osso al quale aderisce la cartilagine viene così fatto sanguinare e si forma un nuovo strato di cartilagine qualitativamente più scadente (cartilagine fibrosa) rispetto alla cartilagine originale (cartilagine ialina) ma comunque dotata di caratteristiche biomeccaniche accettabili. Questo intervento rientra nell’ambito della chirurgia ripartiva. In genere viene proscritto il carico per un mese dopo l’intervento e l’attività sportiva ad alto impatto viene concessa dopo circa 6 mesi.
Innesti osteocondrali autologhi (OAT) o mosaico plastica: vengono estratte delle “carote” di tessuto cartilagineo con una porzione di osso sub condrale da zone di non carico articolare e vengono “zeppate” nella lesione cartilaginea opportunamente preparata. In questo modo viene colmato il difetto cartilagineo con cartilagine ialina. I risultati sono buoni anche nel lungo termine. L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dagli 8 mesi in poi.
Trapianto di condrociti autologhi (ACI): questa metodica prevede 2 tempi chirugici: in un primo tempo vengono prelevati i condrociti dall’articolazione e messi in coltura per un mese; dopo 30 giorni i condrociti si innestano su una matrice tridimensionale (es: acido ialuronico) e vengono poi reinseriti in articolazione per colmare il difetto cartilagineo. I risultati a lungo termine sono ottimi ma i tempi di riabilitazione sono molto lunghi: l’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.
Scaffold biomimetici (MaioRegen): una delle ultime frontiere è rappresentata da questi supporti sintetici costituiti da idrossiapatite e fibre collagene. La tecnica prevede un solo tempo chirurgico nel corso del quale viene sagomato lo scaffold sulla base del difetto cartilagineo. Quest’ultimo viene inserito dopo aver fatto sanguinare la superficie lesionata in modo che le cellule staminali contenute nel sangue colonizzino lo scaffold e si differenzino in condrociti. L’intervento prevede il non carico per 45-60 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.
Trapianto di cellule mesenchimali autologhe: Si prelevano le cellule staminali dal midollo osseo del paziente, estratto dalla cresta iliaca. Queste cellule vengono veicolate su un supporto con aggiunta di fattori di crescita estratti dal sangue del paziente. Infine questo preparato si impianta a livello della lesione condrale colmando il difetto. In genere sono esclusi i pazienti over 50 e i risultati sono sovrapponibili al trapianto di condrociti. L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa
dell’attività sportiva ad alto impatto dai 12 mesi in poi.
La riabilitazione post intervento così come i tempi di recupero varieranno molto a seconda della tecnica chirurgica adottata.
È fondamentale svolgere un adeguato protocollo riabilitativo che permetta di recuperare il massimo nel rispetto dei tempi biologici di guarigione propri del tessuto cartilagineo.
La riabilitazione avviene attraverso 5 fasi con obiettivi ben definiti: riduzione del dolore e del gonfiore, recupero del’articolarità, recupero della forza muscolare, ripristino della coordinazione neuromotoria e ritorno allo sport. Ogni passaggio da una fase all’altra della riabilitazione viene deciso dal medico che valuta precisi parametri clinici.
La prima fase della riabilitazione verrà svolta alternando piscina e palestra.
Questo momento è particolarmente delicato perché la cartilagine sostituita è vulnerabile agli stimoli meccanici inappropriati. Dosare opportunamente i carichi consente di stimolare l’integrazione della nuova cartilagine e la sua maturazione, al contrario carichi eccessivi possono causare il fallimento dell’impianto.
In palestra vengono alternate terapie fisiche e manuali, esercizi di rinforzo e di propriocezione secondo una precisa progressione.
In piscina il paziente comincia a recuperare lo schema del passo e i movimenti dell’articolazione operata e, se sportivo, può anche introdurre esercitazioni specifiche in acqua alta senza caricare sull’articolazione. Anche in piscina, come in palestra, si collaudano esercizi di rinforzo e coordinazione utilizzando pinne, salvagente e tavolette di dimensioni variabili.
Nei mesi successivi il paziente riprende a correre su tapis roulant e effettua esercitazioni propedeutiche al campo di riabilitazione. Vengono inserite, durante la seduta di riabilitazione, anche delle sessioni di allenamento isocinetico che culmineranno con un test per valutare la differenza di forza tra l’arto operato e quello sano.
Un deficit lieve di forza tra i due arti permette di introdurre il campo nel percorso di recupero del paziente a patto che i tempi biologici di maturazione dell’impianto siano rispettati. In questa fase il paziente viene sottoposto ad un test di soglia per valutare il suo stato di forma e dare dei parametri precisi ai rieducatori in campo, perché svolgano un lavoro più personalizzato ed efficace.
In campo la progressione per fasi porterà il paziente a recuperare la sua forma fisica pre-infortunio e la destrezza nell’uso dell’attrezzo sport specifico.

CHIRURGIA DELLA ROTULA
Il trattamento chirurgico è riservato alle fratture che si presentano comminute o con dislocazione dei frammenti. Consiste nell’applicazione di mezzi di osteosintesi e di un cerchiaggio metallico.
Nell’immediato post operatorio può essere utile la CPM (mobilizzazione passiva continua con kinetec).
La mobilizzazione può essere effettuata precocemente durante la fisiokinesiterapia, già a partire dalla seconda settimana; il carico viene concesso dopo circa quattro settimane e normalmente l’intera rieducazione si protrae per alcuni mesi.
In alcuni casi diventa necessario effettuare un intervento di patellectomia che può essere parziale o totale. Anche in questo caso il recupero funzionale può essere buono con la possibilità di riprendere l’attività sportiva.

RIALLINAMENTO ROTULEO
Per riallineare la rotula esistono vari tipi di soluzioni chirurgiche. Quelle più frequentemente usate sono tre.
Il lateral release: sezione del legamento alare esterno, effettuato artroscopicamente per medializzare la rotula. È un intervento la cui efficacia è dubbia, ma ha il vantaggio di una modestissima aggressività chirurgica con rapida ripresa.
Il riallineamento distale: è l’intervento più utilizzato per le instabilità marcate caratterizzate da episodi recidivanti di lussazione rotulea. Consiste nella trasposizione del tendine rotuleo. Richiede un periodo di parziale immobilizzazione in tutore.
Il riallineamento prossimale: è impiegato negli adolescenti con instabilità rotulea grave per evitare di
danneggiare il tessuto osseo immaturo. Consiste nell’avanzamento e plicatura del vasto mediale. Richiede da quattro a sei settimane circa di immobilizzazione.
In caso di lateral release puoi iniziare la riabilitazione dopo pochi giorni dall’intervento.
Nel riallineamento distale puoi iniziare precocemente la riabilitazione rimuovendo il tutore per la durata della seduta.
Nel riallineamento prossimale per consentire la tenuta delle suture è consigliabile iniziare la riabilitazione solo dopo il periodo di immobilizzazione.

PROTESI DI GINOCCHIO
L’intervento di protesi è consigliato nei casi più gravi di artrosi quando il dolore è ostinato e sono presenti gravi limitazioni della funzione articolare con un quadro radiografico molto compromesso.
In genere si consiglia l’esecuzione di questi interventi in pazienti oltre i 60 anni, sia in considerazione della durata delle protesi, sia perché con l’età la richiesta di prestazioni fisiche è minore.
La chirurgia protesica dovrebbe essere ritardata il più a lungo possibile nei pazienti che continuano a conservare una funzionalità sufficiente ed hanno un dolore tollerabile.
Se l’artrosi colpisce l’articolazione di un giovane, si preferisce eseguire interventi come le osteotomie che correggendo gli assi di carico, modificano almeno temporaneamente le sollecitazioni sulle aree articolari più soggette al carico.
La riabilitazione dopo intervento di protesi ha come obiettivi il recupero dell’articolarità, della forza muscolare, della coordinazione, e dello schema del cammino, tanto più difficili da ottenere quanto più la situazione dell’arto prima dell’intervento era compromessa.

OSTEOTOMIA
L’osteotomia per correggere la deformità degli arti è forse la più vecchia procedura ortopedica. La prima osteotomia di tibia risale al 1875.
Eseguita in passato per correggere deformità di ginocchio di ogni grado sia in varo che in valgo, oggi ha indicazioni ristrette.
Oggi viene eseguita più frequentemente una osteotomia tibiale esterna per correggere il varismo ed una osteotomia femorale mediale per correggere il valgismo.
Possono essere utilizzati mezzi di sintesi diversi, cioè cambra o placca e viti; in quest’ultimo caso è possibile accelerare i tempi di recupero grazie alla maggiore stabilizzazione chirurgica.
Alla rimozione dei punti puoi iniziare un programma di idrokinesiterapia, fino alla lastra di controllo e alla visita ortopedica.
A questo punto si imposta il programma di rieducazione anche in palestra e, se la consolidazione è completa, si riprende progressivamente il carico.
Il trattamento riabilitativo ha lo scopo di migliorare la tua autonomia nelle attività della vita quotidiana e arrivare se possibile a correre di nuovo e riprendere uno sport.

TENORRAFIA DEL QUADRICIPITE
È la risoluzione chirurgica che si rende necessaria in seguito ad una evenienza acuta quale la rottura traumatica o degenerativa, parziale o completa, del tendine quadricipitale o del tendine rotuleo.
La tecnica consiste nella sutura con fili non riassorbibili del tendine lesionato associato a rinforzo con tessuto biologico autologo (il prelievo è solitamente effettuato o dalla porzione distale della bandeletta ileo-tibiale o dal tendine quadricipitale), spesso associato ad un cerchiaggio rotuleo necessario per proteggere le suture.
La chirurgia è complessa e se non è ben eseguita può portare ad avere una rotula alta con conseguente deficit della flessione.
Bisogna avere in mente che i primi 2 mesi post-operatori sono il periodo critico e che bisogna essere molto attenti e progressivi nel recupero della flessione e nel rinforzo del quadricipite.